La “Fase 2” avrà bisogno non solo di un territorio pronto ad individuare precocemente nuovi focolai epidemici gestendo i pazienti a domicilio per quanto possibile, ma soprattutto della piena operatività degli ospedali italiani in termini di posti letto e di dotazioni organiche coerenti per garantire la piena funzionalità degli ospedali Covid e affrontare l’immensa domanda […]
La “Fase 2” avrà bisogno non solo di un territorio pronto ad individuare precocemente nuovi focolai epidemici gestendo i pazienti a domicilio per quanto possibile, ma soprattutto della piena operatività degli ospedali italiani in termini di posti letto e di dotazioni organiche coerenti per garantire la piena funzionalità degli ospedali Covid e affrontare l’immensa domanda di prestazioni accumulata in questo periodo emergenziale. Milioni di pazienti con patologie “ordinarie” attendono un intervento chirurgico, una visita specialistica o un esame diagnostico avanzato, affollando liste di attesa che si misurano oramai in anni, mentre la mortalità nelle patologie tempo dipendenti cardiovascolari già comincia a incrementare in modo preoccupante così come si evidenzia un peggioramento del controllo clinico della patologia neoplastica che potrebbe preludere ad ulteriori aumenti della mortalità. La sostenibilità del SSN, un bene comune di cui tutti hanno tessuto le lodi, passa da qui.
Ma concretamente cosa fare?
Bisogna assumere stabilmente 10 mila medici e 20 mila infermieri; incrementare i posti letto in terapia intensiva, sub intensiva e area medica (malattie infettive e pneumologia), globalmente almeno un 10% in più delle attuali dotazioni nel servizio sanitario pubblico, visto che siamo in coda nel rapporto per mille abitanti in Europa; ristrutturare gli ospedali per favorire percorsi separati e distinti per il Covid-19; migliorare la fase territoriale rafforzando i Dipartimenti di Prevenzione e i Distretti, istituendo le cosiddette Usca e organizzando il tracciamento dei contatti; acquisire tecnologie diagnostiche, dai tamponi ai reagenti e alle macchine per processarli per finire alle Tac e RMN di ultima generazione, al fine di rinnovare un parco macchine obsoleto, e alle attrezzature per le terapie intensive e sub-intensive, ventilatori in particolare; acquistare farmaci antivirali e vaccini, quando saranno disponibili.
A proposito di assunzioni si continuano a privilegiare, con una pervicacia degna di altri fini, forme precarie, “usa e getta”, lontane dal coprire i vuoti, presenti e futuri, nelle dotazioni organiche. A danno di una buona occupazione, fatta di contratti di lavoro a tempo indeterminato, attingendo anche a graduatorie esistenti, o determinato, di specialisti e specializzandi del 3°, 4° e 5° anno, che garantiscano stabilità e prospettive di inserimento duraturo, tutele assicurative e previdenziali. La situazione è emergenziale e sono inaccettabili le intrusioni del MUR che pretende di mettere i propri paletti per il passaggio alla dipendenza degli specializzandi degli ultimi anni di corso, previsto in modo chiaro dalla legislazione vigente che si cerca di stravolgere; del Mef che solleva dubbi di compatibilità di bilancio, dimenticando le disastrose condizioni organizzative messe a nudo dall’epidemia e che entro il 2025 usciranno per pensionamento dal SSN almeno 36 mila tra medici specialisti e dirigenti sanitari; della Funzione Pubblica che disquisisce su anacronistiche regole per i concorsi e per gli avvisi pubblici di fronte a oltre trentamila morti per l’epidemia e alla carenza drammatica di personale specializzato.
Per assicurare l’attrattività per il lavoro nel SSN del capitale umano che opera in sanità, considerando la forte concorrenza che si sta sviluppando tra i Paesi della Comunità europea per il pensionamento nei prossimi anni di più di 200 mila medici, bisogna agire su due leve. Innanzitutto ridurre la precarietà, condizione inaccettabile per professionisti dotati di elevate competenze e sofisticate e complesse capacità tecniche, il cui mantenimento e sviluppo necessita di un investimento in formazione ed aggiornamento che mal si adatta a lavori che durano pochi mesi. Poi, affrontare finalmente il differenziale di remunerazione con gli altri Paesi dell’Europa occidentale valutabile intorno a 30/40 mila € annui. L’apertura in tempi brevi della trattativa per il rinnovo del CCNL 2019/2021 potrebbe rappresentare un segno di attenzione per un mondo professionale che con generosità, spirito di servizio ed abnegazione ha dato un contributo fondamentale nel contrastare l’epidemia da Covid-19, operando in condizioni rese difficili dalla carenza di protezioni da essere costretto ad un tasso di contagi elevatissimo, circa il 13% dei contagi totali, e a un numero di morti insopportabile.
Un occhio particolare va rivolto alla programmazione dei fabbisogni. L’aumento dei contratti di formazione specialistica previsto nel DL “Rilancio”, essendo limitato ad un solo ciclo, non risolve il problema dell’imbuto formativo. In base ai dati già ora noti, almeno 21.000 partecipanti al prossimo concorsone di luglio, si può prevedere che circa 6.000 medici neo laureati rimarranno esclusi da ogni percorso di formazione post laurea, considerando anche il corso per Medici di Medicina Generale. In mancanza di modifiche in Parlamento, l’offerta di contratti di formazione specialistica per il 2021 dovrà essere portata ad almeno 17.000 se vogliamo veramente mettere fine a questa stortura che crea tante sofferenze e precarietà, dando una risposta anche alle esigenze di professionisti specializzati del SSN. Servono specialisti da assumere nel SSN, servono in particolare in alcune branche come Anestesiologia, Emergenza/Urgenza, Malattie Infettive, Pneumologia, Medicina Interna, Pediatria, servono ora e non tra 11 anni.
È arrivato anche il momento di cambiare paradigma nella formazione post lauream, passando ad una formazione sul campo e a contratti di formazione-lavoro collegati al Ccnl della Dirigenza medica e sanitaria, per trasferire a tutti gli specializzandi i vantaggi economici, previdenziali, assicurativi e anche di carriera, valorizzando, tramite una apposita norma legislativa e contrattuale, il servizio svolto nei Teaching Hospital che devono essere individuati come luoghi deputati all’apprendimento pratico, valorizzando anche economicamente la funzione di tutoraggio dei medici ospedalieri. Al momento dell’assunzione a tempo indeterminato nel SSN, scelta che viene effettuata da circa il 65/70% dei neo specialisti, il servizio prestato potrà essere valutato nella ricostruzione della carriera, accorciando i tempi per un incarico professionale.
Infine è da auspicare che tutte le scelte sbagliate emerse nella gestione dell’epidemia a livello nazionale, a cominciare dal mancato stoccaggio di DPI, dalla carenza di tamponi, reagenti e macchine per processarli, per finire ai problemi organizzativi osservati negli Ospedali e nel Territorio, non certo per colpa degli operatori, possano essere di insegnamento per evitare gli errori già compiuti. Insistere sarebbe diabolico oltre che criminale. Collegata alle condizioni organizzative disastrose in cui tutti gli esercenti le professioni sanitarie sono stati costretti ad operare è la richiesta dell’approvazione di uno scudo giudiziario relativo al periodo emergenziale che limiti per loro la procedibilità in ambito penale, civile, amministrativo ed erariale esclusivamente a fatti commessi con dolo.
La sanità italiana per il dopo pandemia merita investimenti mirati, sia come spesa corrente che in conto capitale, per un effettivo rilancio del sistema, così come richiede la Commissione europea. La cosiddetta “White Economy” rappresenta il 10,7% del PIL con circa 2,5 mln di addetti. Il finanziamento della sanità pubblica non rappresenta uno spreco o una spesa assistenziale, ma un formidabile motore di sviluppo per il Paese.
Le risorse economiche per ammodernare la rete ospedaliera, sviluppare la fase territoriale, assumere e tutelare il personale, migliorare la formazione, investire in ricerca, acquistare farmaci e vaccini, in tutta evidenza mancano, anche se il Governo attuale in pochi mesi ha fatto più degli altri negli ultimi 10 anni.
C’è da sperare che l’adesione a prestiti a tassi vicini allo zero e con la sola opportuna e condivisa condizione che vengano utilizzati per spese dirette e indirette legate all’emergenza epidemica, come quelli previsti dal Mes, non siano oggetto di dispute ideologiche ma ispirate al bene della nostra Italia.
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